
Fino a qualche tempo fa, questo dilemma non si poneva. Quando scoprivamo di aspettare un bambino sapevamo che avremmo dovuto affrontare un travaglio, a volte doloroso, e il parto. Certo, questo ci spaventava, com’è normale che sia, soprattutto nelle mamme in attesa del primo figlio. Mentre il taglio cesareo, era visto come esattamente è: un intervento chirurgico cui essere sottoposte solo in quei casi in cui partorire spontaneamente poteva rappresentare un rischio per la mamma o per il bambino.
Negli ultimi anni si è avuto invece un aumento esponenziale del ricorso al taglio cesareo, fino a raggiungere in alcune regioni un’incidenza del 60%.
Perché tante donne scelgono un taglio cesareo anche in assenza di indicazioni mediche?
Possiamo solo fare delle supposizioni:
• La paura di affrontare un travaglio doloroso;
• Il timore che la vita intima venga poi inficiata dalle naturali modificazioni degli organi genitali;
• La sicurezza di poter scegliere la data esatta in cui nascerà il bambino;
• Le indicazioni che le darà il suo ginecologo nell’arco della gravidanza.
• E non ultimo, non dimentichiamo che in quest’ultimo mezzo secolo la conformazione fisica della donna ha subito un’evoluzione.
Un tempo, le donne avevano il bacino più largo, adatto ad accogliere un feto anche di grosse proporzioni. Oggi la maggior parte delle ragazze ha un fisico snello con fianchi stretti. Questo può determinare una sproporzione feto-pelvica (bambino troppo grande per le dimensioni del bacino) che rende il parto estremamente difficile e potrebbe essere necessario ricorrere a un taglio cesareo anche dopo un lungo travaglio.
Che cosa accade quando è la donna che richiede di partorire tramite taglio cesareo, senza che vi siano indicazioni mediche?
Il ginecologo curante potrebbe rifiutarsi di eseguire l’intervento e invitarla a rivolgersi altrove.
Oppure, in questi ultimi anni si è adottato uno speciale “Rifiuto Informato al parto naturale”. Questo documento, che prende il nome di “Autodeterminazione al taglio cesareo”, va compilato, firmato dalla partoriente, ratificato da due testimoni, controfirmato dal ginecologo curante e/o operatore e allegato alla cartella clinica.
Parto cesareo: quando si fa?
Quali sono invece le principali cause mediche che non consentono l’espletamento del parto naturale ma che indicano la necessità di sottoporre la donna all’intervento di taglio cesareo?
• Taglio Cesareo pregresso.
In seguito a un solo precedente taglio cesareo, il medico propone alla partoriente il “travaglio di prova”. È, cioè possibile avere un parto naturale dopo il cesareo, ovvero partorire per via vaginale, (sempre che non vi siano controindicazioni) anche se precedentemente si è stati sottoposti al taglio cesareo. Se invece il taglio cesareo è stato più di uno (due -tre), il parto naturale può essere un rischio che va evitato. Le cicatrici presenti sulla parete uterina, dovute ai precedenti interventi, possono in corso di travaglio di parto, essere sollecitate al punto di determinare una rottura dell’utero, evento temibile che nella maggior parte dei casi, per evitare un’emorragia massiva, richiede l’asportazione dell’utero stesso.
• Posizione anomala del feto.
Normalmente il feto si presenta nella posizione detta di “vertice” cioè con la testa rivolta verso il basso. Se il bambino al termine della gravidanza si presenta in posizione podalica (di piedi o di natiche), o in posizione trasversa, o in altre posizioni anomale, è consigliabile ricorrere al taglio cesareo, ma non prima del compimento della 38° settimana di gestazione.
• Placenta Previa.
Questa è una condizione dalla quale non ci si può esimere dall’intervento. La placenta è quell’organo attraverso il quale avvengono gli scambi nutrizionali e metabolici tra la madre e il feto; è una struttura molto complessa, aderente alla parete interna dell’utero che dopo la nascita del bambino viene espulsa, dopo un tempo variabile tra dieci e quindici minuti. Questa fase del parto è chiamata: secondamento. Quando però, invece che nella parte alta dell’utero, la placenta ha un’inserzione bassa, si trova quindi in posizione prossima all’orifizio uterino, questa situazione può essere molto critica e pericolosa per il feto e per la madre.
La placenta previa ha varie classificazioni. Può essere:
1) Centrale totale (copre cioè completamente l’orifizio uterino interno),
2) Centrale parziale (ricopre parzialmente l’orifizio uterino interno),
3) Marginale (è in prossimità dell’orifizio uterino interno ma non lo ricopre),
4) Laterale (è distante circa 2,5 cm dall’orifizio uterino interno).
In tutti questi casi è comunque necessario ricorrere al Taglio Cesareo, poiché questa condizione patologica può provocare sanguinamento, parto prematuro e un distacco di placenta, patologia pericolosa per la madre e per il feto.
• Pre-Eclampsia ed Eclampsia.
La pre-eclampsia è una patologia che si manifesta generalmente nella seconda metà della gestazione (dopo la 20^settimana). I segni clinici che fanno diagnosticare una pre eclampsia sono:
– Ipertensione arteriosa non evidenziata in precedenza, con una P.A. diastolica (minima)superiore a 90 mmHG;
– Proteinuria (presenza di albumina nelle urine, riscontrabile da un banale esame delle urine);
– Edema generalizzato (gonfiore in tutto il corpo);
– Trombocitopenia ( valori bassi dei trombociti, chiamati anche piastrine, che svolgono l’importante funzione della coagulazione del sangue).
Nel feto si osserva un ritardo di accrescimento. La pre-eclampsia, in rarissime situazioni, può evolvere in Eclampsia che si manifesta clinicamente con le convulsioni, ed è molto rischiosa per la mamma e per il feto.
• Gravidanza multipla con più di due feti, o gravidanza gemellare con posizione anomala di uno o di entrambi i feti. In queste situazioni è importante programmare un taglio cesareo di elezione ma non prima della 38^ settimana di gestazione, onde evitare eventi avversi neonatali.
• Sofferenza fetale.
Si può diagnosticare una sofferenza fetale quando da esami strumentali come la cardiotocografia in continuo si riscontrano segni di decelerazione del battito cardiaco del feto (che non deve scendere sotto i 120 battiti al minuto per un tempo prolungato), o se da altri esami come l’ecografia, la flussimetria, la ecocardiografia si manifestano segnali che possono fare diagnosticare una sofferenza fetale. In questi casi, il taglio cesareo diventa prioritario.
Queste sono cause che non possono prescindere da un parto mediante taglio cesareo. Vi sono altre situazioni che il vostro ginecologo valuterà insieme con voi per la scelta tra partorire spontaneamente o con taglio cesareo, sempre nella consapevolezza del maggior benessere fetale e/o materno.
Differenze tra parto naturale e parto cesareo
Ora cercheremo di chiarire la differenza che esiste tra un parto “eutocico” (parto naturale) e parto “distocico” (parto operativo), quali sono i vantaggi e quali i rischi che comportano.
Come si svolge un parto naturale?
Il Parto Eutocico o parto vaginale, è quello che avviene in maniera del tutto naturale, con l’inizio del travaglio di parto, senza l’ausilio di farmaci o di strumenti. Quando non vi sono complicazioni come un parto prematuro, il travaglio generalmente inizia dopo il compimento della 38^ settimana di amenorrea in poi, ma non deve superare le 41 settimane e tre giorni (questa situazione è chiamata gravidanza protratta). Trascorso questo tempo, è necessario indurre farmacologicamente il travaglio. In questo caso non parliamo più di parto naturale, ma di parto indotto.
Nelle settimane precedenti al parto, può capitare che la donna avverta qualche contrazione. Queste sono sporadiche e irregolari, percepite come fastidiose. In genere durano circa un paio di giorni.
Questa fase è definita “periodo prodromico”. Non è ancora il travaglio di parto, ma il feto inizia la sua discesa nello scavo pelvico e si può avere l’espulsione del tappo mucoso.
Il travaglio vero e proprio, ha inizio quando le contrazioni uterine sono regolari, frequenti e intense. È iniziato il periodo dilatante. Il collo uterino inizia man mano a dilatarsi, la parte presentata del feto inizia la sua discesa nello scavo pelvico, spinto dalle contrazioni uterine e dai muscoli addominali della madre, percorre il canale del parto, costituito dalla vagina, contornata dai muscoli perineali e dalla vulva. Di solito in questa fase si ha la rottura delle membrane con la fuoriuscita del liquido amniotico. In una donna che non ha mai partorito la fase di dilatazione della cervice (collo uterino) dura dalle sei alle otto ore, mentre nelle donne che hanno già partorito, la durata è di tre, quattro ore (questi però, sono da considerare dati variabili). Quando la dilatazione ha raggiunto circa 10 cm, la donna inizia a provare un bisogno insopprimibile di spingere. È come la sensazione impellente di dover andare in bagno per evacuare. È l’inizio del periodo espulsivo.
Quello che molte donne alla prima esperienza non sanno, è che la parte più dolorosa del travaglio è terminata. Da questo momento in poi, se c’è univocità tra contrazione e spinta, si avverte una forte tensione, ma il dolore è meno forte.
Come soffrire meno durante il travaglio?
Vi sembrerà strano, ma il dolore va “accolto”, non rifiutato. Non c’è cosa peggiore per aumentare l’intensità del dolore che irrigidirsi, contrarsi, gridare. Tutte queste manifestazioni sebbene sembrino naturali, sfiniscono la donna, la esauriscono fino a farla dissociare. In questi casi il parto diventa una tortura interminabile.
Il modo migliore per soffrire meno è rimanere concentrate sul compito importantissimo che stiamo svolgendo, mettere al mondo una nuova vita. Quando sentiamo arrivare la contrazione, lasciamo che si intensifichi senza irrigidirci. Aiutiamoci con la respirazione detta “a cagnolino”, respirando cioè con la bocca aperta. Infine iniziamo a contare. Una contrazione, non dura più di un minuto e mezzo. Quando siamo arrivate a sessanta secondi, sappiamo che il dolore inizia a decrescere fino a scomparire. Tra la fine di una contrazione e l’inizio della prossima, approfittiamo dell’assenza di dolore per rilassarci e riprendere forze.
Diventa perciò importantissima la piena collaborazione della partoriente per aiutare il suo bambino a nascere. Se la neo mamma ha frequentato, come auspicabile, un corso di preparazione al parto, saprà come aiutarsi in questa fase facendo ricorso al training autogeno.
Riassumiamo in breve come dovrebbe svolgersi il periodo espulsivo. Arriva la contrazione, lasciamo che diventi intensa, facciamo un’inspirazione profonda, come se volessimo andare sott’acqua. L’aria non si deve bloccare a livello della gola, ma arrivare all’addome. Iniziamo a spingere trattenendo l’aria fino a che è possibile. Se la contrazione non è finita, prendiamo di nuovo aria e spingiamo fino a che dura. Riposiamo tra una contrazione e un’altra. Rilassiamoci e prepariamoci alla successiva. La forza dei muscoli addominali, unita a una giusta respirazione aiuta la fuoriuscita della testa fetale. Il periodo espulsivo, in una donna che non ha mai partorito dura al massimo un’ora. Nelle pluripare, dai cinque ai venti minuti (dati variabili).
Dopo circa quindici, venti minuti se non prima, si ha il distacco e la fuoriuscita della placenta, delle membrane e del cordone ombelicale. Questa fase è chiamata “secondamento”.
Che cosa possiamo fare per affrontare al meglio il travaglio?
• Training autogeno: si basa su esercizi di rilassamento, respirazione e controllo muscolare. Questi esercizi vengono insegnati nei corsi di preparazione al parto da iniziare già dal settimo mese di gestazione;
• Posizioni: nel corso del travaglio la donna può assumere la posizione che reputa la più adatta a lei. Seduta, accovacciata, in piedi, sdraiata (meglio se sul fianco sinistro), inginocchiata. La libertà della posizione da assumere è una delle migliori tecniche per avvertire meno dolore durante le contrazioni, per allargare la muscolatura del bacino e ridurre la compressione esercitata dal feto nella sua discesa nel canale del parto.
• Massaggio: Un massaggio dolce, praticato sulla zona lombare e sulle gambe aiuta la donna a rilassarsi ed allevia il dolore delle contrazioni;
• Musica: utilizzata da tempo sia in sala parto e sia nelle sale operatorie può essere un ottimo metodo per rilassarsi e riposarsi tra una contrazione e un’altra.
• Presenza del partner: la presenza affettuosa e partecipe del proprio partner è fondamentale per aiutare la donna ad affrontare il travaglio e il parto. Questo diventa così un’esperienza condivisa che rafforza la triade mamma, papà, bambino.
Un parto per essere definito naturale, dovrebbe essere esente da qualsiasi medicalizzazione. Se si lascia fare alla natura, non intervenendo con farmaci e tecniche invasive per accelerare il travaglio e il parto, la donna sarà in grado di gestire le varie fasi, dalla dilatazione a quella espulsiva.
Vantaggi e rischi di un parto naturale
Il parto naturale ha sicuramente più vantaggi che rischi.
Essendo un evento fisiologico, una volta espletato il parto, la ripresa è quasi immediata. La mamma è così in grado di accudire da subito al suo bambino, senza doversi preoccupare di eventuali cicatrici dolenti. Anche l’allattamento risulta più semplice per la comparsa precoce della montata lattea e per la capacità della mamma di potere assumere la posizione a lei più congeniale. Il ritorno a casa può avvenire in tempi rapidi, così come tutte le attività che la donna svolgeva prima della gravidanza. Non dovrà preoccuparsi di fare trascorrere troppo tempo prima di avere un altro bambino.
Naturalmente esistono anche rischi da non sottovalutare.
Un parto è imprevedibile, a differenza di un taglio cesareo che se non è effettuato in condizioni di urgenza è programmabile. Questa stessa imprevedibilità può causare complicazioni.
Può capitare, per esempio, un parto precipitoso. Non consente cioè alla donna di adattarsi alle varie fasi del travaglio, o addirittura di non riuscire ad arrivare in tempo nella struttura ospedaliera prescelta. O viceversa il travaglio si può prolungare tanto da fare perdere forze ed energie alla donna. Può accadere che non si giunga ad una dilatazione completa che consenta la fuoriuscita della testa fetale, per cui solo in casi particolari e selezionati, è necessario che il ginecologo pratichi una “episiotomia”, e cioè una piccola incisione chirurgica del perineo, che è l’area compresa tra la vagina e l’ano. Questa pratica, un tempo molto diffusa, viene oggi effettuata solo quando vi è un reale rischio di lacerazione del perineo o della vagina, o in caso di sofferenza fetale.
Un’altra complicazione di un parto vaginale, può essere la comparsa di emorroidi, dovuta alle spinte del periodo espulsivo.
Una complicanza, legata sia al parto vaginale sia al taglio cesareo è l’atonia uterina.
Può avvenire che dopo la nascita del bambino, l’utero non si contragga, e perda il tono muscolare. Questo comporta un’imponente emorragia che deve essere trattata con tempestività.
Come si svolge un parto cesareo? Rischi e benefici.
Il Parto distocico è un parto operativo. Ai giorni nostri, la ventosa o il forcipe non vengono quasi più utilizzati, essendo questi strumenti la causa maggiore di possibili lesioni al neonato e sofferenza per la madre.
Per definire quindi un parto come operativo, ci riferiremo esclusivamente al Taglio Cesareo.
Abbiamo già visto quali sono le indicazioni cliniche che impongono di ricorrere a questa tecnica chirurgica. Quali sono i benefici e i rischi di un taglio cesareo?
Il Taglio Cesareo è diventato ormai un intervento di routine, che non richiede più di quaranta minuti, dal momento dell’incisione a quello della sutura.
Si svolge in un ambiente sterile, quello di una sala operatoria e richiede la presenza di almeno tre figure: il ginecologo operatore, un aiuto e un ferrista. Oltre naturalmente alla presenza dell’anestesista. Spendiamo una parola sul tipo di anestesia che si effettua per un taglio cesareo. In passato tutti questi interventi venivano praticati in anestesia generale. Oggi l’anestesia epidurale permette alla donna di rimanere sveglia senza provare alcun dolore e assistere alla nascita del proprio bambino.
Quindi, uno dei principali benefici per la donna è il non dovere affrontare un travaglio e partorire senza dolore.
Un altro effetto positivo è quello di poter programmare il momento della nascita. Questo è importante soprattutto per le donne che lavorano anche in gravidanza avanzata, per i papà che possono essere presenti, per le persone che vogliono rimanere ad assistere la partoriente nell’immediato post partum. E non è da sottovalutare, per chi ha già un altro figlio, la possibilità di organizzarsi in anticipo per i giorni in cui non sarà a casa.
I rischi sono quelli comuni a qualsiasi intervento chirurgico.
Ma ovviamente, così come ci sono i fattori benefici, ci sono anche quelli che creano disagio e difficoltà. Innanzitutto bisogna tenere presente che in un parto spontaneo, vi è la totale partecipazione del bambino. Anche lui intraprende un percorso per uscire dal grembo materno. Ma durante le varie fasi del travaglio, il piccolo ha la capacità di adattarsi progressivamente alla vita extra uterina. Cosa che non avviene con l’estrazione tramite taglio cesareo. Il bambino si trova all’improvviso esposto al nuovo ambiente senza avere avuto il tempo di adattarsi. Un ambiente a lui ostile. Luci, rumori, distacco improvviso dalla mamma, temperatura diversa….
Infatti molti bambini anche di peso normale, sono spesso messi in incubatrice per il periodo detto di “adattamento”.
Per la mamma i contro sono rappresentati dai dolori di un post operatorio: canalizzazione dell’alvo, (emettere aria e feci), ferita laparotomica dolente, ritardo nella montata lattea, a volte febbre, difficoltà a riprendere da subito la vita di prima della gravidanza, la possibilità di dovere ricorrere a un nuovo taglio cesareo per il secondo figlio.
Come in tutte le cose della vita, l’importante è fare la scelta giusta. Quella che sentiamo di fare. Partorire naturalmente, ed è questa la tendenza degli ultimi anni, o essere sottoposte a un intervento chirurgico. Qualunque sia la vostra scelta, il fine ultimo è la nascita di una nuova vita. E alla fine è questo ciò che conta. Potere stringere il vostro bambino tra le braccia.